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La filosofia dell’Orientamento narrativo

  1. Le persone hanno in sé le risorse necessarie per fare e raggiungere ciò che desiderano realisticamente (anche se questo non è vero sempre lo è quasi sempre). In altre parole le persone conoscono già i modi adeguati, o meglio le soluzioni, per risolvere i loro problemi. Qui si innesta il lavoro dell’orientatore narrativo, a metà fra il counselor e il coach, per usare nomi di professioni di importazione anglofona. Ossia un lavoro centrato sulla fiducia e sulla valorizzazione dell’altro che è di fronte nella relazione, scommettendo sui talenti e sulla capacità di immaginare le soluzioni che egli possiede. L’orientatore sarà innanzitutto colui il quale facilita proprio questa capacità germinativa di scenari possibili nel futuro, perché questo è il primo modo per aumentare le probabilità che si realizzino davvero. Il secondo passaggio è poi quello di rendere queste narrazioni più verosimili, efficaci, realizzabili e ricche di particolari possibili.
  2. Ogni persona aspira a reperire un senso ed un significato nella propria esistenza. Essa è, in altre parole, un essere che decide, orientato non soltanto, al raggiungimento del piacere, essendo dominato dalla volontà di piacere, ma anche al raggiungimento di un senso, essendo la volontà di significato, la ricerca di esso, il motore ultimo delle sue azioni. Ed è per questa ricerca che ogni uomo è, intimamente, coinvolto dalla dimensione partecipativa e collettiva, dall’essere un soggetto in-relazione-con-l’altro. 
  3. L’idea che sia più importante centrarsi sulla costruzione delle soluzioni piuttosto che andare alla ricerca delle cause di un problema (pur non trascurando, in forma narrativa questo processo). Le cause, qualsiasi esse siano, sono comunque dei “costrutti narrativi” (Milner, O’Byrne, 2004), come qualsiasi altro, né più né meno. In un certo senso affermiamo che la criticità di un problema sia essenzialmente nella “difficoltà di vedere le sue soluzioni”. Esse sono quell’immagine narrativa che permette al soggetto di liberare le proprie risorse, in quanto unico esperto del problema. Esse sono, come gli stessi problemi che vogliono risolvere, delle narrazioni la cui intima natura è sfuggente e in continua evoluzione, dipendendo dal linguaggio e dai significati che il soggetto attribuisce alle esperienze.
  4. L’idea che la vita sia un continuo progetto narrativo, prodotto da un coro di voci (una narrazione plurale), all’interno del quale ognuno si trova, tentando di tessere in una unità necessaria i suoi vari io. Il lavoro dell’orientatore si configura allora come un processo collaborativo nella costruzione di nuove narrazioni più soddisfacenti e che consentano integrazione modificando dunque il significato della vita stessa.
  5. L’idea che nella relazione duale con un soggetto (ma anche nella relazione con un gruppo) sia importante sottolineare più gli aspetti positivi, assertivi, “felici”, che non analizzare il disagio, l’incapacità di scegliere o l’infelicità. Questo oltre a diminuire lo stress del soggetto, lo inciterà ad essere più creativo e capace di risolvere il problema.
  6. L’idea che il contesto storico, sociale ed economico dell’occidente, in particolar modo nei grandi centri urbani, costituisca oggi, più di ieri, una forza contraria alla costruzione di una identità stabile, condizione necessaria per perseguire un progetto di vita soddisfacente, “sano” e non eccessivamente esposto al “dominio della flessibilità” (R. Curcio, 2003). I costi umani imposti dall’attuale mercato del lavoro in termini di orari, compensi, disagi nell’articolare in modo sensato le giornate, nell’impresa impossibile di integrare tempo di lavoro ed un tempo per i propri affetti , per gli adempimenti minimi richiesti dall’essere inseriti in una società, paure ecc. sono sempre più evidenti. La difficoltà di fare scelte importanti (basti pensare all’acquistare una casa) ha quindi anche una matrice esogena (sociale, esterna al soggetto) non trascurabile (e perciò non soltanto attribuibile a motivazione interna al soggetto medesimo) che l’orientatore, spesso in prima persona coinvolto in questi meccanismi, non può ignorare.
  7. L’idea che l’ascolto sia l’unica pratica che riconosce legittimità all’altro che è in relazione con me, e a tutte le sue diverse e contraddittorie istanze, l’unica via per costruire assieme uno spazio di contrattazione, di bilancio e, infine, di progettazione; senza pretendere di cancellare i conflitti (non è in questa assenza di conflitto la soluzione ai problemi) ma raggiungendo una provvisoria tregua che permetta un rilancio di sé nel futuro. Ecco che un percorso di orientamento diviene una sosta nella propria biografia, utile per ricostruire una mappa di sé e del mondo che, attingendo dalla memoria (individuale, collettiva, culturale e di confronto con altre culture) disegni un futuro significativo, per il quale valga la pena spendersi.

L’interpretazione narrativa della realtà e di se stessi è ciò attraverso cui la realtà diviene realtà umana e noi stessi diventiamo realmente noi stessi: narrando aumentiamo la nostra comprensione reciproca.

Quanto presente in questa pagina potrà essere riutilizzato soltanto accompagnato dalla dicitura: Materiale prodotto da Associazione Pratika –www.pratika.net

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