di Federico Batini
L’omofobia è un problema che affonda le radici in tempi lontani ma che oggi appare come un triste retaggio di tempi passati. Assurta a dignità di cronaca quando si manifesta in tutta la sua violenza o quando le norme tendenti a scongiurarne dette manifestazioni sono oggetto di polemiche feroci è spesso il risultato di stereotipi, pregiudizi e di mancata informazione ed educazione alla comprensione della differenza. In questo volume vengono presentate le conoscenze minime necessarie a comprendere come si costruisce e sviluppa l’identità sessuale di ciascuno di noi. Il volume si propone allora di fornire a insegnanti, ricercatori ed operatori gli elementi essenziali per intervenire efficacemente in modalità preventiva. Non soltanto l’autore presenta in modo originale ciò che occorre sapere e ciò che si può fare, ma giunge ad ipotizzare i fondamenti di una pedagogia dell’identità sessuale. Il volume presenta anche i risultati di tre ricerche che delineano un quadro delle percezioni e delle opinioni in proposito di insegnanti, studenti universitari e studenti delle scuole secondarie di secondo grado nonché le eventuali modifiche che si verificano a seguito di un intervento.
> Armando editore
Pagine: 110
Codice ISBN: 978-88-6081-974-1
«”Meglio drogato che finocchio, per Dio!” disse quel giorno la madre di Ettore
commentandola notizia dell’attore Rock Hudson, ammalato di Aids.»
(Francesco Botti, 2011, Di corsa, di nascosto, Guanda)
«Siamo completamente favorevoli al matrimonio tra cattolici.
Ci pare un errore e un’ingiustizia cercare di impedirlo.
Il cattolicesimo non è una malattia. I cattolici, nonostante a molti
non piacciano o possano sembrare strani, sono persone normali
e devono godere degli stessi diritti della maggioranza,
come fossero, ad esempio, informatici o omosessuali.
Siamo coscienti che molti comportamenti e aspetti
del carattere delle persone cattoliche, come la loro abitudine
a demonizzare il sesso, possono sembrarci strani.
Sappiamo che a volte potrebbero emergere questioni
di sanità pubblica,
a causa del loro pericoloso
e deliberato rifiuto all’uso dei profilattici.
Sappiamo anche che molti dei loro costumi,
come l’esibizione pubblica
di immagini di torturati, possono dare
fastidio a tanti.
Però tutto ciò risponde più a un’immagine
mediatica che alla realtà
e non è un buon motivo per impedire il loro
diritto al matrimonio.»
(Documento circolante in Spagna prima della elezioni vinte da Zapatero,
riprodotto in: Franco Buffoni, 2010, pp 143-146).
I due esergo non vuole essere una provocazione, si tratta di un testo ironico che vuole soltanto mostrare che cosa accade quando ciò che diciamo degli altri, di determinati gruppi che sono uniti e resi tali (cioè resi “gruppo”) soltanto dal rifiuto della società nei confronti del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere, vengono applicati a gruppi che hanno invece rilevanza e potere notevolissimi all’interno della società. Il concetto di “punto di vista” sfugge ad alcuni gruppi rilevanti all’interno della nostra società che ritengono giusto imporre il proprio stile di vita e le proprie credenze agli altri. Non sfuggirà come il simbolismo di coppia sia ancora legato, nell’immaginario collettivo, al matrimonio tra uomo e donna celebrato in una chiesa, fattispecie che riguarda, ormai, una minoranza delle varissime tipologie di coppie eterosessuali, omosessuali e di altra tipologia presenti in Italia. Analogamente una delle attività che proponiamo nei percorsi formativi, con qualsiasi fascia di età, chiede di pensare (si veda al proposito la sezione dedicata ad alcune ricerche) alle domande che ciascuno vorrebbe rivolgere ad un omosessuale o a un transessuale e una volta che ciascun partecipante ha redatto le proprie domande solo allora si chiede di modificarle rivolgendole ad un eterosessuale: basterebbe osservare le reazioni dipinte nei volti per comprendere come le forzature e il ridicolo insito nelle domande venga alla luce soltanto attraverso questo rovesciamento. Il testo proposto in esergo ha la stessa funzione di stimolare una riflessione, una presa di coscienza.
Il nostro mondo, la nostra cultura, il nostro modo di pensare ci ha rappresentato il mondo in modi differenti ma sempre accompagnati dalla dicotomia maschio-femmina, dicotomia che struttura il nostro modo di pensare e di vedere il mondo. Questa dicotomia, che informa di sé anche il nostro linguaggio, è così abituale da sembrarci “naturale”, immodificabile. Vi sono, tuttavia, ai fondamenti della nostra cultura lingue che prevedono l’esistenza (almeno al livello linguistico) del concetto di “neutro”. Vi sono popolazioni e culture presso le quali esiste, ed è esistito, un terzo sesso che può rappresentare un ponte tra i due sessi, come nel caso , oppure un sesso con caratteristiche proprie, irriducibili.
La rappresentazione del mondo dicotomica ha fatto sì che a questa corrispondesse la sovrapposizione di una serie di fattori: non soltanto si nasce maschi o femmine biologicamente (sesso biologico), ma, secondo questa concezione, il nostro corpo definisce la nostra identità (identità di genere), ci viene richiesto di comportarci socialmente in modo da confermare questi due assunti (ruolo di genere) e di essere attratti da chi sta all’altro polo della dicotomia (orientamento sessuale).
Il 12 marzo 2010 nella prima pagina del quotidiano Sydney Morning Herald si riporta la notizia che Norrie May Welby, di quarantotto anni, è stata la prima persona al mondo ad essere riconosciuta da un governo “di sesso non specificato” (il governo in questione è quello del Nuovo Galles del Sud). Due medici hanno fornito alle autorità attestati in cui affermano di non potersi pronunciare in favore dell’uno o dell’altro sesso nel caso di Norrie e dunque le viene rilasciato il Registered Details Certificate, un documento che certifica l’identità di chi non è nato in Australia e in seguito ha cambiato sesso (ha il valore legale di un certificato di nascita) senza specificazione del genere. In molti dopo questo storico passaggio hanno sostenuto che si sia trattato di una conquista fondamentale anche per i soggetti intersessuali e che gli adulti dovrebbero poter scegliere se vogliono documenti senza la specifica del sesso. Persino un conservatore ed ex prete come Gordon Moyers, politico e medico, ha sostenuto: “Una persona come Norrie, che ha subito un’operazione di allineamento sessuale, dovrebbe da adulto poter scegliere di non avere sesso.” La tempesta mediatica che si solleva, tuttavia, i legali del governo sostengono che l’ufficio che ha emesso il certificato non aveva l’autorità per farlo, i legislatori, infatti, non hanno previsto, sino ad oggi, la possibilità che un cittadino chieda di non registrare alcun genere sessuale nei propri documenti. La battaglia prosegue.
Norrie May Welby, 48 anni, è nato maschio (come sesso biologico), ma, nel 1990, ha cambiato sesso. Nel 2010 si valica dunque un orizzonte ritenuto invalicabile, quello relativo alla dimensione oppositiva dei sessi biologici: sesso maschile e sesso femminile. La gioia e il primato di Norrie durano, peraltro, pochi giorni perché il governo australiano decide, dopo poco, di tornare sui propri passi e di negare la validità del documento. Sia pure per pochi giorni è stato, in ogni caso, valicato un confine importante quello di avere, temporaneamente, il “primo neutro al mondo”.
Bruce Norris Watson nasce a Pasley, una cittadina alla periferia di Glasgow, nel 1962. Nel 1969 il governo di Sydney offre case agli abitanti della Gran Bretagna al prezzo simbolico di dieci sterline se accettano di trasferirsi. La famiglia di Bruce accetta e si trasferiscono a Perth. A un certo punto, interessato più ai giochi femminili che a quelli maschili, alla biblioteca più che ai giochi dei coetanei, si rende conto di non essere un “lui”. L’Università coincide con la sua prima liberazione: “La libertà d’espressione veniva incoraggiata, così ho cominciato a osare di più, mi vestivo con vezzose camicie da ragazza e jeans attillati da uomo: ero molto androgino.” Si esibisce in spettacoli di drag queen nei locali gay con il nome di Norrie May Welby (derivato dal suo secondo nome Norris e da may well be: che tutto vada bene). Nei primi inserimenti lavorativi, però, il suo aspetto ambiguo gli suscita contro atteggiamenti discriminatori che gli causano un esaurimento nervoso. Nel 1985,a ventitre anni, inizia ad assumere gli ormoni per diventare una “lei”. Nel 1988 Norrie va a Sidney e, dopo un anno, si fa rimuovere pene e testicoli per diventare, compiutamente, una donna. Diventa un’attivista per le persone con caratteristiche sessuali differenti da quelle maggioritarie sino a diventare presidentessa dell’Australian Transexual Association, aveva ricevuto un attestato che la dichiarava di sesso femminile, ma a quel punto Norrie May Welby non si sentiva più a suo agio con una identità unicamente femminile e ha dunque intrapreso un percorso che l’ha portata al riconoscimento come “neutro” di cui sopra. Vivere come una donna, infatti, le aveva causato solo violenze: “Ero una bugiarda se non dicevo che ero transessuale e un’intoccabile se lo dicevo. Sono stata violentata come transessuale ma anche solo come donna: una volta cinque ragazzi mi hanno stuprata senza sapere che ero transex. E tutto questo è successo solo nel primo anno dopo il cambiamento di sesso.” Due anni dopo l’operazione, finalmente, Norrie capisce: non è un maschio e nemmeno una femmina. Norrie smette di prendere ormoni femminili e decide di accettare la sua vita senza essere maschio né femmina, semplicemente un essere umano.
Il caso di Norrie May Welby ha sollevato la discussione a proposito di un’area complessa che interroga notevolmente chi opera come insegnante, educatore, animatore a qualsiasi livello, in relazione ai processi con i quali oggi si costruisce l’identità sessuale.
Nel 2010 quando il governo australiano, per la prima volta nella storia, riconosce Norrie di sesso non specificato, sono passati 61 anni dal 1949, anno di nascita di Leslie Feinberg.
Nel settembre del 1949 era nata Leslie Feinberg (Buffalo, 1 settembre 1949) poi divenuto politico, saggista e attivista transgender statunitense. Nato biologicamente donna, Leslie Feinberg ha sempre vissuto come uomo, adottando un look esteriore completamente maschile e chiedendo, a più riprese, che si ci riferisse a lui con articoli ed aggettivi coniugati al maschile. Fa parte del Workers World Party (una sorta di partito comunista statunitense) ed è il direttore responsabile del Workers World newspaper, su cui ha pubblicato a puntate la sua storia del movimento LGBT, denominata “Lavender & Red”.
Legato sentimentalmente alla poetessa lesbica statunitense Minnie Bruce Pratt, Leslie Feinberg è stato coinvolto, per esempio, nella dimostrazione transessuale denominata Camp Trans, una contestazione svoltasi presso un festival musicale femminista riservato alle donne che non ammetteva donne nate biologicamente maschi (il pregiudizio ha sede ovunque, un contesto femminista decideva chi fosse “donna” e chi “non potesse esserlo”).
Come autore Leslie ha esordito nel 1992 con la raccolta di scritti “Transgender Liberation: A Movement Whose Time Has Come”. L’anno seguente con il romanzo “Stone Butch Blues”, vincitore tra l’altro dello Stonewall Book Award, narrò le vicissitudini di Jess Goldberg: il suo cammino la porterà a vivere prima da butch e poi da transgender e finalmente ad accettarsi per quello che era, anche quando questo non rientrasse negli schemi dicotomici previsti (e ritenuti gli unici possibili) dalla nostra società. Molti ipotizzarono che si trattasse di una vicenda autobiografica, ma Leslie Feinberg ha prontamente e decisamente smentito. In molte università, tuttavia, il testo è stato utilizzato come testimonianza della descrizione dei generi sessuali e della complessità che comportano rispetto alla visione dicotomica alla quale siamo abituati centrata sul sesso biologico (anche il sesso biologico, peraltro, comprende più tipologie di eccezioni al nascere maschio o femmina). Leslie Feinberg si identifica come neutro rispetto al genere più precisamente con s/he (“eglia” o “ello” ??) come soggetto e hir (“luei” o “loi” ??) come complemento trovando la dicotomia tra genere maschile e femminile restrittiva e non in grado di rappresentarla/o (come è evidente già da questi primi paragrafi anche la grammatica italiana si rivela insufficiente a dare conto di questa complessità avendo perso le forme neutre che erano presenti sia nel latino che nel greco).
L’identità sessuale è un costrutto complesso e poco noto. Oggi vengono, sempre di più, messi in crisi i concetti dicotomici di maschio e femmina a cui siamo abituati (concetti che fanno coincidere, come in un automatismo eteronormativo sesso biologico, identità e ruolo di genere ed orientamento sessuale). Non che si tratti, ovviamente, di novità in termini di ciò che accade all’interno delle persone e nella costruzione della loro identità sessuale con le quattro componenti che la costituiscono, si tratta soltanto di visibilità differenti, di maggiore possibilità già rispetto ad alcuni anni fa, di esprimere in modo pubblico i differenti modi di essere e, soprattutto, forse, di conoscere, attraverso gli orizzonti allargati dalla tecnologia, ciò che accade anche in nazioni più avanzate nel campo dei diritti civili: nazioni nelle quali la differenza in relazione ad una o più delle componenti dell’identità sessuale rispetto alle caratteristiche della maggioranza viene ritenuta non come eccezione ad una regola come invece accade da noi.
Nella scuola e più in generale in tutte le situazioni formative e di istruzione la dimensione della sessualità, intesa nel senso più ampio, non ha cittadinanza, se non privata di ogni connotazione emotiva/affettiva secondo un approccio esclusivamente biologico che, sembra una battuta ma non lo è, rende sterile parlare di sessualità. Nell’esperienza di tutti noi è chiaro come già qualsiasi dimensione che riguardi gli aspetti emozionali abbia spesso nei luoghi dell’istruzione e dell’educazione poco spazio o gli vengano comunque assegnati spazi, tempi e finalità che non si incrociano con la dimensione prevalente in questi ambiti che è quella cognitiva (peraltro malintesa). Vi sono dietro a queste pratiche delle teorie guida che fanno riferimento a delle convinzioni di carattere morale (“di queste cose è meglio non parlare”, “sono cose che riguardano la famiglia, preferisco non impicciarmi”, “la scuola non può arrivare a tutto”), vi sono convinzioni errate che riguardano la dimensione dell’apprendimento inteso come fattore esclusivamente legato alla “ragione” (come se, tardiva trasposizione odierna dell’illuminismo, potesse esistere una dimensione razionale separata da quella emotiva), vi sono comportamenti che fanno riferimento ad una dimensione storico-culturale per il quale gli aspetti più emotivi, in particolare quelli legati alla sessualità, in Italia più che in altri paesi sono considerati una sorta di tabù del quale è difficile anche solo parlare (del tutto escluso, dunque, considerarle dimensioni con dignità di occasioni di apprendimento), vi sono convenienze agite in silenzio circa la consapevolezza della propria mancata o insufficiente preparazione relativa a queste tematiche.
La chiave di questo volume che seppur situandosi come esito e presentazione di attività formative e di ricerca sceglie di avere anche una funzione di tipo divulgativo è squisitamente pedagogica. Si tratta, è bene precisarlo, di una pedagogia intesa secondo uno sguardo particolare con una forte attenzione alla dimensione politica (non partitica), per la quale nel fatto educativo è insita l’intenzione emancipativa e tale intenzione non può accettare, per sé, il compito di essere “mera cinghia di trasmissione del potere, strumento di riproduzione meccanica della società, come troppo spesso è stata in passato. Si tratta di una pedagogia politicamente consapevole della posta in gioco, che riconosce il legame tra la ‘questione omosessuale’ e il tema della cittadinanza e dei diritti umani…” (Marino M., in: Burgio, 2009, p. 9). La visuale particolare di chi scrive è quella di incrociare, anche in questo lavoro, tre dei temi di principale interesse per la ricerca che va avanti ormai da oltre un decennio: il tema dell’identità delle particolari forme che oggi assume e, in particolare, del contributo che le storie e le narrazioni possono fornire a ciascun soggetto per disegnarla, costruirla e diventarne consapevoli; il tema dell’empowerment (finalità principale dell’orientamento narrativo) e dunque dei processi attraverso i quali un soggetto si attrezza a gestire meglio e in modo autonomo la propria vita e le proprie scelte (e di quali siano gli ostacoli da rimuovere per permetterlo e le facilitazioni che possono concorrere a promuoverlo) e, più in generale, il tema della scuola, delle competenze che si dovrebbero acquisire nei processi di istruzione e formazione per diventare cittadini a pieno titolo.
Tutti coloro che in ambito educativo, a qualsiasi livello, con ogni livello anagrafico di utenza, hanno minimamente riflettuto sui temi legati al costrutto dell’identità sessuale ed osservato i comportamenti al proposito sanno come la negazione ed il silenzio siano interpretati come devono, ovvero come una dichiarazione di impotenza. Le dimensioni legate all’identità sessuale (Batini, Santoni, a cura di, 2009) sono costitutive dell’esperienza umana non comprenderle in un percorso di istruzione/educazione significa comportarci come se ci rivolgessimo a dei soggetti incorporei, alessitimici, asessuati e con identità dimidiate o come se non ci rivolgessimo a nessuno.
Un sistema di istruzione ed educativo che confessa, attraverso le pratiche che mette in campo la propria impotenza ammette, prima di tentare, il proprio fallimento.
RECENSIONI:
Ridurre atteggiamenti e comportamenti discriminatori nei confronti dell’omosessualità, è quanto si prefigge il Professor Federico Batini nel libro “Comprendere la differenza. Verso una pedagogia dell’identità sessuale” che, in un percorso che parte dall’analisi della fase adolescenziale, formativa ed educativa, tenta di mettere in luce le difficoltà ed i contrasti sociali inerenti al tema, appunto, dell’omosessualità. Discriminazione ed ignoranza sono le chiavi di lettura che, fin dal medioevo, hanno caratterizzato tale argomento, etichettandolo dietro un qualcosa di innaturale ed anormale. Tale atteggiamento non sembra essere poi mutato con il tempo, perfino oggi, nella nostra presunta società sviluppata, tali stereotipi persistono con la stessa arroganza anche negli ambienti, teoricamente, più colti e formativi, generando una vera e propria fobia verso il “diverso” che vede così morire il suo spazio sociale dietro ad un pregiudizio fortemente radicato. La concezione che gli attori sociali, o almeno la maggior parte di essi, hanno dell’omosessualità, è dettata principalmente dall’ignoranza e dallo scarso, o magari inesistente, percorso formativo promosso tanto dalla società quanto dalla scuola; è in questa fase, precisamente quella adolescenziale, che un individuo scopre la propria identità sessuale, un percorso non sempre facile e scontato come si possa credere. “La maggior parte degli studiosi concorda nell’idea che l’orientamento sessuale sia determinato in modo multifattoriale: si formi cioè tramite complesse interazioni di fattori biologici, psicologici e sociali.. Questa miscela di fattori cambia da individuo a individuo e va a costituire la sessualità specifica di ogni persona..”. A tale proposito è interessante osservare la ricerca svolta presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Perugia per comprendere non solo le opinioni e il grado di omofobia degli studenti, ma anche il grado di preparazione dei docenti che risulta essere molto basso. Agli studenti universitari è stato proposto un laboratorio inerente a questo tema e, ancor prima di iniziare tale attività, veniva chiesto loro di scrivere, su alcuni cartoncini anonimi, le definizioni di: lesbica, gay e transessuale; al termine del percorso venivano forniti, agli studenti, altri cartoncini sui quali dovevano riportare nuovamente le tre definizioni di cui sopra. Si è osservato che i tre “ritratti”, disegnati in un primo momento, presentavano forti tratti di confusione ed erano densi di pregiudizi e stereotipi, corretti e ridimensionati nel momento della seconda “copia”. Questa ricerca dimostra, a mio modesto parere, come sia sufficiente una minima cognizione di causa per sfangare il pregiudizio, eppure simili itinerari, seppure non complicatissimi da proporre, sono assai poco, o per nulla, presenti nei vari percorsi formativi proposti dalle Istituzioni. L’informazione, senza dubbio, rappresenta il mezzo fondamentale per diffondere la conoscenza, e per stralciare quelle etichette che l’ignoranza, la diffidenza e la superficialità incollano così bene sulla nostra società. Sicuramente la scarsa iniziativa volta ad informare, o meglio formare, riguardo tali temi è alla base, o quantomeno è una delle cause, dell’intolleranza verso il “diverso” che, troppo spesso, sfocia in comportamenti discriminatori ed omofobi. Siffatto atteggiamento non si palesa, contrariamente a quanto si pensa, semplicemente nella violenza o nei frequenti atti di bullismo che spesso vengono riportati anche dai mass media, bensì esso è radicato nell’imbarazzo e nel disagio che un individuo prova nel parlare o confrontarsi con un omosessuale. Questo, oltre a dimostrare come tali atteggiamenti siano più diffusi di quanto si possa credere, indica come, paradossalmente, sia fortemente diffusa anche una certa ignoranza non solo nei confronti del tema dell’omosessualità ma anche, e soprattutto, nelle reazioni di intolleranza che la società pone in atto per “difendersi” da questo tabù. Omofobia e transfobia (ovvero l’avversione che viene provata nei confronti della transessualità) sono assai radicati nei nostri comportamenti, ed hanno anche un’ampia varietà di esternazione che va dall’aggressione verbale sino all’omicidio e, addirittura, all’induzione di suicidio. Ma non è tutto. A quanto pare, infatti, anche il pregiudizio sembra adattarsi all’evoluzione ed all’esasperato sviluppo tecnologico dal quale siamo investiti. Questo aspetto “darwiniano” trova il suo essere – nel cyberbullismo, consistente nel dare vita ad azioni omofobe, denigratorie e discriminanti, più o meno violente, tramite l’utilizzo dei nuovi media (social network, blog e quant’altro). Tanta violenza, verbale, fisica e virtuale è alla base di un altro fenomeno: l’omofobia interiorizzata. In questo caso si assiste all’inclinazione di alcuni soggetti omosessuali ad avere giudizi negativi e stereotipati nei confronti di altri individui omosessuali. “Una cultura omofoba che inizia già dalla scuola ci permea fin nelle convinzioni più profonde e riesce persino a far diventare omofobe persone che dell’omofobia sono state vittime”. Concludendo si può dunque affermare che “Comprendere la differenza. Verso una pedagogia dell’identità sessuale” del Professor Federico Batini, offre la possibilità di vedere, e capire, come sia particolarmente difficile, sottovalutato e stereotipato il tema della sessualità nel nostro Paese. Un argomento che invece (oltre a generare profonde ingiustizie, violenze ed emarginazioni), necessita di essere compreso, prima che affrontato, in tutta la sua complessità.