di Federico Batini
Vi sono ancora, infatti, nel panorama dell’orientamento, delle modalità “magiche” che ritengono possibile supportare una persona nel proprio sviluppo o nelle transizioni che deve attraversare, sollecitando risposte ad alcune domande per verificarne le attitudini o per identificarne la collocazione ideale secondo il profilo caratteriale o in altri modi ancora che hanno in comune l’opzione di una scelta strutturata, legata a modalità di tipo analitico-razionale (o sedicenti tali).
Vi sono modalità più o meno strutturate, più o meno teoricamente fondate, riferibili a questo approccio o ad altri approcci in cui si finisce, al di là delle intenzioni, per avere esiti normativo/direttivi (o nulli). Si possono reperire in commercio software che, attraverso alcune domande, guidano verso un settore professionale o un altro, con lo stesso valore orientativo di un’estrazione casuale di professioni da un contenitore.
Cosa ha guadagnato, infatti, un soggetto come portato orientativo in un processo di questo tipo?
Come si può porre di fronte all’individuazione di un’area di attitudine o all’indicazione di un profilo professionale adeguato a quelle che sono ritenute essere le sue capacità, attitudini, interessi? Può aderire, non in seguito ad una comprensione, ma perché attribuisce autorità al proprio interlocutore, può rifiutare perché il suo livello di autoefficacia e di strutturazione gli consente di opporsi se ciò che sente non gli sembra corretto. Il rischio di intendere l’orientamento come adattamento non è qui secondario.
Le risposte di un soggetto (scritte o verbali, in alcuni casi, come abbiamo detto, persino attraverso l’utilizzo di software, che non possono che dare risposte indifferenziate) si ritiene possano fornire indicazioni al professionista dell’orientamento che a sua volta fornirà indicazioni al soggetto circa il suo futuro.
Per quante possano essere le ricerche che stabiliscono l’attendibilità di questi procedimenti è chiaro come la rappresentazione degli stessi, dal punto di vista di un soggetto (che risponde a delle domande e riceve una “direzione”), non è molto diverso da quello di un rito magico o dalla divinazione con la sfera di cristallo. Il soggetto che dovrebbe essere protagonista del processo “descrive i sintomi” (rispondendo alle domande), “attende senza comprendere né partecipare” (il momento dell’elaborazione delle risposte) e riceve diagnosi e prognosi (gli viene detto che cosa è “portato” a fare, nel migliore dei casi corredato dal perché). Vale la pena ricordare come molteplici ricerche hanno dimostrato, inoltre, che la congruenza tra un soggetto ed una posizione professionale sia maggiormente determinata dalle caratteristiche personali soggettivamente percepite (legate al concetto di sé) e dalla personale percezione dell’ambiente in cui si è inseriti, piuttosto che dall’individuazione delle caratteristiche oggettive (ammesso che siano rilevabili) del soggetto e dell’ambiente in cui lavora (Pombeni, Chiesa, 2009).
Le critiche rivolte ai modelli normativo/direttivi si concentrano sulla scarsa predittività da parte degli stessi sul comportamento delle persone.
Nella vita quotidiana le persone difficilmente si trovano in situazioni di completezza informativa e di strutturazione adeguata della situazione, tale da poter decidere con sufficiente sicurezza quali siano le scelte più sicure o più proficue (e, non è detto, altresì, che a queste corrisponda il maggior peso motivazionale e di soddisfazione personale). Ci sono molti aspetti della vita quotidiana e professionale in cui la scelta non avviene secondo questi modelli, deve avvenire in situazione, deve consentire di risolvere il problema immediato o di cogliere l’opportunità che si presenta. Le modalità analitiche si rivelano disfunzionali in casi come questi.
Per approfondire: F. Batini (2011), Storie, futuro e controllo. Le narrazioni come strumento di costruzione del futuro, Napoli, Liguori.