Le storie fanno parte della vita di ogni giorno: siamo sottoposti quotidianamente a migliaia di stimoli narrativi da parte delle agenzie narrative (televisione, videogiochi, cronaca, ecc…). Le storie, se usate consapevolmente, possono diventare degli straordinari strumenti per mettere ordine e dare un senso alle esperienze, per immaginare il futuro e gestire le scelte, per costruire la propria identità e quella dei gruppi di cui facciamo parte.
Giunto alla sua terza edizione, il convegno biennale “Le storie siamo noi” è la prima iniziativa scientifica e divulgativa italiana dedicata interamente al rapporto tra scienze della narrazione e orientamento. Esperti di varie discipline – pedagogia, sociologia, psicologia cognitiva e culturale, filologia e letteratura – si trovano per fare il punto sui recenti sviluppi teorici e applicativi dell’approccio narrativo e a fornire indicazioni pratiche sull’utilizzo delle storie per lo sviluppo delle competenze orientative delle persone.
Quest’anno il convegno presenta alcune importanti novità. Innanzitutto, è da segnalare l’ampliamento alla sede di Siena, che va a aggiungersi a quelle di Arezzo e Grosseto. Inoltre, da quest’anno un comitato scientifico di prestigio internazionale ha accolto e selezionato ricerche provenienti da tutta Italia, contribuendo così a dare un segnale forte circa la possibilità, da parte di strutture non universitarie fortemente radicate nelle comunità locali, di svolgere un ruolo fondamentale nel rilancio della ricerca in Italia.
Il programma, articolato su due giornate e mezzo, ruota intorno a tre temi fondamentali: l’utilizzo della lettura di testi narrativi per lo sviluppo delle persone (Siena, 5 maggio), il rapporto tra identità, storia e intercultura (Grosseto, 6 maggio), l’utilizzo dello storytelling per l’orientamento (Arezzo, 7 maggio). Oltre alle lezioni magistrali e alla presentazione delle ricerche, durante i pomeriggi del 6 e del 7 è aperta la partecipazione a dei “cantieri di pratiche”, veri e propri laboratori in cui l’approccio narrativo è applicato allo sviluppo dell’immaginazione narrativa delle persone.
Il presente quaderno vuole essere una guida utile alla partecipazione attiva ai lavori e, soprattutto, alla costruzione di una comunità scientifica e narrativa più vasta, capace di proseguire il lavoro di ricerca al di là delle giornate di studio.
Si ringraziano i membri del Comitato Scientifico: Federico Batini (Università degli Studi di Perugia, direttore Pratika), Paolo Jedlowski (Università della Calabria), Simone Giusti (Associazione L’Altra Città di Grosseto), Giuseppe Mantovani (Università degli Studi di Padova), Gabriella Papponi Morelli, Andrea Smorti (Università degli Studi di Firenze), Natascia Tonelli (Università degli Studi di Siena). Un ringraziamento particolare anche al Comitato dei Referee che hanno giudicato le ricerche: Alessia Bartolini (Università di Perugia), Stefano Beccastrini (esperto di medicina narrativa), Leonardo Evangelista (esperto di orientamento), Anna Grimaldi (Isfol), Maria Luisa Iavarone (Università di Napoli Parthenope), Simone Giusti (esperto di didattica della letteratura), Paolo Jedlowski (Università della Calabria), Giuseppe Mantovani (Università di Padova), Alessio Surian (Università di Padova), Andrea Smorti (Università di Firenze), Natascia Tonelli (Università di Siena), Cristina Zaggia (Università di Padova).
> Edizioni Pensa Multimedia
Pagine: 116
Codice ISBN: 978-88-8232-860-3
Formato: 21×29,7 cm
RECENSIONI
Il quaderno di lavoro raccoglie nove lezioni, sette ricerche, diciannove cantieri di lavoro (laboratori) e tre narrazioni, ricavati dalle due giornate e mezzo di convegno svoltosi tra Arezzo, Grosseto e Siena il 5-6-7 maggio 2011, rivolto a professionisti per la costruzione di una comunità scientifica e a tutti coloro che desiderano partecipare attivamente ai lavori di ricerca e firmati da esperti in varie discipline (pedagogia, psicologia, sociologia, medicina, letteratura, musica e spettacolo), membri di associazioni, imprese e istituzioni che hanno deciso di creare e portare avanti un “progetto territoriale per lo sviluppo delle persone e delle comunità” dimostrando che è possibile “promuovere attività di ricerca e sviluppo e, allo stesso tempo, rispondere alle emergenze sociali ed educative valorizzando gli attori sociali già attivi sui territori: le scuole, le agenzie formative, le organizzazioni di volontariato, le associazioni”. Il progetto si fonda sulla convinzione che le storie facciano parte della vita di tutti i giorni, della comunicazione con gli altri e con se stessi, della creazione di immagini e schemi mentali riguardo il mondo che ci circonda e che, se utilizzate in modo consapevole, “possono diventare degli straordinari strumenti per mettere ordine e dare un senso alle esperienze, per immaginare il futuro e gestire le scelte, per costruire la propria identità e quella dei gruppi di cui facciamo parte”. Il ruolo della lettura Ë sempre stato quello di portare ad un’autoriflessione, un’interpretazione della propria esistenza, del senso delle nostre azioni, come ci viene ricordato dalle lezioni di Andrea Smorti e di Natascia Tonelli, quest’ultima riportando frammenti di illustri opere di altrettanto illustri autori, Boccaccio, Cavalcanti, Dante e altri, a dimostare inoltre che la lettura Ë anche un “processo interpretativo”, un “percorso ontogenico” e una “attività sociale” ovvero che prevede una riflessione sul linguaggio e sulla scelta del contesto, che ha uno sviluppo all’interno dell’esperienza individuale e che comporta l’attribuzione di emozioni, intenzioni e significati: questi tre concetti portano di conseguenza a definire il libro “una protesi cognitiva, un prolungamento del Sè verso il mondo” sottolineando di nuovo il suo processo metacognitivo e autoriflessivo, caratteristiche indispensabili affinchè il lettore possa estrarre insegnamenti (attraverso gli schemi di storie o plot) e dare un senso alla sua vita; si collega a queste affermazioni la lezione di Federico Batini “Il futuro e le storie” dove si sottolinea il ruolo delle storie e delle narrazioni per la creazione di un’idea sul futuro: “per secoli ogni generazione ha avuto la possibilità (e la presunzione) di insegnare alle generazioni successive come gestire la propria vita e come pensare, rappresentarsi, decidere, immaginare il futuro” anche attraverso le storie, le fiabe, le favole che dal punto di vista decisionale svolgono un ruolo pi˘ importante di quel che si è disposti ad ammettere. Si parla dunque di orientamento narrativo quando si riconosce l’importanza di questi dispositivi e ci si rende disponibili ad utilizzarli per “compiere scelte consapevoli nel tentativo di diventare autori e non fruitori della nostra vita, con lo scopo di esercitare un controllo sul nostro futuro”. L’esperimento “Progetti ancora pochi, più che altro sogni”, sempre condotto da Batini, conferma l’importanza del ruolo del racconto e delle storie: la conclusione dell’esperimento stesso vede come obiettivi raggiunti “il rafforzamento della fiducia in sè stessi ed alcune competenze in ordine alla capacità di introspezione, interpretazione, comprensione ed accettazione degli altri e sviluppo di un’incipitaria competenza progettuale”. Le ricerche firmate da Monaldi, Slaunich (“L’autobiografia come strumento didattico nel contesto universitario”) Slaunich (“Il testo letterario come strumento educativo in situazioni di disagio giovanile”), Cinquepalmi (“Storytelling per la formazione alla leadership”), Lucisano, Salerni, Sposetti (“Narrarsi per rieleggere la propria esperienza professionale”) partono dal presupposto che la narrazione sia indispensabile per formarsi in campo lavorativo come leader (studio sulle Five Minds of a Manager: pensiero autoriflessivo, analitico, mondano, collaborativo, intenzionale), per essere autocritici quindi disposti al cambiamento, per essere consapevoli del proprio operato, per crescere a livello professionale, per costruire nuove conoscenze, per apprendere “maneggiando” il vecchio e il nuovo. Nella sua lezione “Il piacere del racconto. Esperienza e mondi narrati” Paolo Jedlowski afferma che il mondo narrato è una “realtà finzionale”, il risultato di un’operazione di “mimesi”: colui che racconta mima di fatto qualcosa che non c’è, è un continuo richiamo e creazione di uno “spazio padroneggiabile dove ci intratteniamo, ma impariamo a padroneggiare la nostra stessa realtà”. Stefano Beccastrini, “Medicina narrativa, mutua comprensione e slow medicine” e Ada Manfreda con la ricerca “Dalla malattia vissuta alla malattia narrata. Una ricerca sui bisogni di salute con approccio narrativo” evidenziano l’aspetto della narrazione applicato al campo medico e biomedico, sottolineando l’esigenza dei pazienti (22 pazienti IMID, ovvero portatori di cronicità conseguente a disturbi di natura infiammatoria immunomediati) di stabilire una relazione “umana” col medico, in virtù del fatto che spesso si sentivano considerati solo come malattie, non come persone malate: la narrazione si propone quindi di sviluppare incontri di mutua comprensione, di riempire quella distanza tra medico e paziente aumentata negli anni in modo direttamente proporzionale allo sviluppo di attrezzature e approcci alla malattia sempre più avanzati a livello tecnologico. La medicina narrativa consiste nel prendere atto che l’incontro tra un medico e un paziente è prima di tutto l’incontro tra due mondi “tra un camice e un pigiama” che devono comprendersi rispettivamente. L’articolo e la ricerca partono dalla riscoperta del pensiero narrativo che, come ricorda Bruner “è il primo dispositivo cognitivo ed ermeneutico che l’essere umano utilizza per comprendere e dare un senso al mondo che lo circonda e nel quale egli è ambientalmente, storicamente, socioculturalmente situato”. Giuseppe Mantovani, Vanessa Roghi e Alessio Surian riflettono, partendo da punti di vista diversi, sui rapporti esistenti tra la lettura e i vari contesti socio-culturali che si trova ad affrontare: il primo con “Storie immaginate e storie nostre. Il gran Monghul Ajbar e i gesuiti” sottolinea come le storie si costruiscano attorno ad un “noi immaginario”, influenzato dalla cultura d’appartenenza, dalle credenze, che scavalca gli aspetti negativi di quella cultura (ad esempio il mito della superiorità occidentale viene sfatato nel momento in cui si scopre che mentre i gesuiti pubblicavano l’Indice dei libri proibiti, in India l’imperatore Moghul Akbar emana un editto di tolleranza religiosa), mentre invece ci dovrebbe essere un impegno comune nella creazione di una “storia interculturale”, una storia “nostra” basata sulla convinzione che Ë l’altro che ci rivela a noi stessi. Alessio Surian, “Sè dialogico e narrazioni transculturali” riprende le tematiche di Mantovani quando afferma che “nella cultura sono iscritte le nostre idee sul futuro e sul passato […] le nostre aspirazioni scaturiscono […] attraverso narrazioni che sappiano stabilire e al tempo stesso oltrepassare confini”, questo sperando in scambi reciproci, ma non cadendo nell’illusione che non ci possano essere scontri. Ne “La storia immaginata”, Vanessa Roghi riflette sulla crisi che sta affrontando la lettura e la storia (nel senso di eventi storici) in genere, che si trovano a dover competere con una storia e un pensiero per immagini le quali, essendo totalmente assorbite della mente, seppellisce sotto “un deposito di immagini” (Calvino). La ricerca di Dibattista e Morgese “La narrazione e le storie nella didattica della scienza” propone un approccio narrativo all’insegnamento della scienza che coinvolge anche altre discipline come la storia e la filosofia che aiutano a comprendere in che contesto certe teorie si sviluppano: la ricerca, che coinvolge studenti di scuole secondarie infariori e superiori dimostra che la maggiornanza di essi si è mostrata più partecipe e cognitivamente più coinvolta, affermando che questo approccio ha permesso loro di apprendere in modo più efficace certi concetti. Simone Giusti afferma che la lettura è “un’esperienza in grado di riorganizzare ogni volta la visione di noi stessi e del mondo […] un’azione che richiede sempre l’interpretazione dei significati e la composizione di catene di suoni” fondata “sull’interesse per la relazione con un ipotetico interlocutore” per questo afferma che essa deve essere considerata un “ambiente di apprendimento” in cui si deve tener conto del destinatario del racconto: se questi è interessato, disposto ad ascoltare, ad essere più o meno partecipe, cambia la qualità dell’inteazione, per questo è molto importante saper creare legami di fiducia, reciprocità e collaborazione.