di Federico Batini
in Rivista dell’istruzione (2003), n.2, Maggioli, Rimini
«C’e’ un crescente consenso globale sulla necessità che tutti i bambini possano portare a termine la scuola elementare,
mentre si ignora il diritto all’educazione secondaria e universitaria, che corrono il rischio di essere
trasformate totalmente in un servizio che si compra e vende a tariffa.»
Katarina Tomasevski, croata, relatrice speciale alle Nazioni Unite sul diritto all’educazione
Le urgenze dell’educazione
Il problema della democratizzazione dei sistemi formativi dovrebbe porsi ai primi posti nelle nostre attenzioni se, come viene continuamente dichiarato, in una pluralità di luoghi, c’è un sostanziale accordo su un futuro più giusto, equo, democratico. Questo futuro dovrebbe riservare all’educazione, alla formazione, all’istruzione un posto di rilievo, considerandola come un bene prezioso, inalienabile, come un diritto di tutti, come una possibilità di partecipazione forte.
Questa problematica, forte, è avvertita forse oggi come non mai, come testimonia il documento finale del II Forum Mondiale dell’Educazione (Porto Alegre, gennaio 2003), che ha riunito oltre 15.000 persone del settore provenienti da oltre 100 paesi e da tutti i continenti, nel quale si dice, tra l’altro: « riprendiamo l’analisi critica del contesto dominato dall’egemonia del progetto neoconservatore e neoliberale […]. Riaffermiamo il nostro ripudio verso la mercantilizzazione dell’educazione promossa dagli organismi internazionali e dagli accordi di libero commercio e verso ogni forma di discriminazione; verso qualsiasi azione unilaterale di forza che in questo contesto internazionale di cultura bellica e della violenza, ratificando pertanto il nostro impegno incondizionato verso una cultura di pace e di solidarietà, che rappresenta l’ambiente adeguato per la costruzione della libertà, dell’uguaglianza, del rispetto delle differenze. […] Vogliamo stabilire, come utopia pedagogica, la scuola-cittadino, dovere dello stato, sotto il controllo sociale, costruita per tutti e tutte, che si costituisce a partire da un curriculum inter-multi-culturale, pertanto non indifferente alle differenze, potenzializzatrice di un profondo vivere democratico, con processi di valorizzazione emancipatori e produttori di conoscenze che preparino tutti gli esseri umani ad un protagonismo attivo, nei contesti specifici dei loro rispettivi processi di civilizzazione. Fanno parte di questa utopia lo sviluppo e l’appoggio a tutte le forme di movimento per l’educazione popolare, che promuove il processo di trasformazione politica, economica e culturale della società.
Vogliamo garantire un’offerta di educazione infantile tra i zero e i sei anni, in modo di permettere ai bambini il loro pieno sviluppo.
Vogliamo universalizzare l’educazione di base per tutti gli abitanti della terra in età scolare, per coloro che non ne avrebbero accesso in tale età e per coloro che da essa sarebbero espulsi, assicurando la loro formazione per l’esercizio di una piena cittadinanza.
Vogliamo assicurare un’educazione secondaria per tutti coloro che concludono la primaria, come parte costituente di una formazione di base a cui tutti i cittadini e le cittadine hanno diritto.»
I problemi investono dunque, in modo estremamente sintetico, due tipologie di urgenze: il primo è quello di assicurare pari opportunità e diritti nell’accesso e non più limitatamente all’alfabetizzazione, il secondo è domandarsi per quale educazione, ovvero che cosa vogliamo assicurare.
In questo breve saggio analizzeremo brevemente il secondo aspetto da un versante quello della manipolazione possibile all’interno di un percorso educativo.
Manipolazioni di sistema?
Ogni sistema economico, come è noto, per perpetuarsi, ha bisogno di entrare, informandolo della propria cultura, nel sistema educativo, anzi, oggi, ormai, nei sistemi educativo/formativi, facendo in modo che essi non lo danneggino con i propri “prodotti”, che, cioè, questi sistemi non “producano” menti eccessivamente autonome rispetto al sistema economico in vigore.
Quando ci si riferisce a problematiche che riguardano il sistema educativo, si tende ad adottare approcci che testimoniano, spesso, di una certa superficialità di analisi o una volontà solo parziale di risolverle.
Uno dei problemi da affrontare è dunque quello relativo alla manipolazione di sistema, all’influenza cioè che, progettualmente, o in modo episodico e piuttosto involontario, i sistemi economici esercitano in relazione ai processi educativo/formativi. Non si danno infatti possibilità di completo svincolo, il sistema economico così come è congegnato al presente è pervasivo, non offre possibilità di sottrazione, entra sin dentro i sistemi educativo formativi formulando richieste e chiedendo che essi si adeguino alle sue necessità, come se non fosse ormai acclarato che le esigenze espresse muteranno nel volgere di poco tempo.
Dunque un duplice problema: da una parte un’educazione e formazione che spesso si ritrovano a soggiacere a finalizzazioni che non gli sono proprie, ad essere asservite e svilite, dall’altra anche questa finalizzazione è spesso esclusivamente strumentale ad un depauperamento ed un esercizio di potere, non producendo nemmeno risultati in termini di occupati netti. L’educazione e la formazione hanno, per natura, il dovere di facilitare l’empowerment del soggetto ossia di conferirgli potere, non quello, antitetico di indirizzarlo, dirigerlo, adattarlo.
Manipolazioni soggettive
Vi sono però anche manipolazioni di altro tipo, manipolazioni che hanno a che fare con l’interno della relazione educativa. E’ possibile educare senza indottrinare? Cosa si snoda all’interno della relazione educativa? Come un formatore, un insegnante, un educatore possono fare in modo che il loro agire educativo si sostanzi nell’essere privo di infingimenti, di influenze forti, di manipolazioni, magari nascoste sotto il velo dell’oggettività, del sapere, del dato conoscitivo? Si tratta chiaramente di un traguardo non semplice, ognuno di noi, nei ruoli educativi che esercita porta con sé il patrimonio di convinzioni, di certezze ed incertezze, i valori, il proprio patrimonio culturale…, l’argomento non è nuovo.
Le risoluzioni che si sono spesso mosse però in questa direzione sono orientate in ordine alla rinuncia, rinuncia ad affrontare i temi caldi, i più spinosi, rinuncia a prendere posizione (come se ciò fosse possibile) presentazione in modo neutro ed omogeneo (e dunque svilito, spersonalizzato, privo di potenziale apprenditivo) tutti i concetti, le informazioni, gli argomenti. La direzione nella quale invece crediamo occorra muoversi è una direzione di criticità, come ha sintetizzato, con una felice espressione lo psicologo Paolo Crepet, pensare ad una scuola non più centrata sull’insegnamento che significa “condurre, mettere tra i segni”, rinunciandovi in favore di una scuola centrata sull’educazione, cioè una scuola nella quale i docenti aspirino a “condurre fuori dai segni”. In questo senso ci permettiamo di indicare alcune piste di azione:
- educare alla criticità, al pensiero critico, alla pluralità dei punti di vista, alla costruzione di un punto di vista personale, all’espressione soggettiva;
- educare al rispetto, alla diversità, al confronto autentico e dialogante, alla molteplicità delle interpretazioni possibili di un evento, di una relazione, di una teoria, di un’informazione;
- educare alla selettività, all’implementazione delle capacità di scelta e selezione tra le centinaia di messaggi, di informazioni, di fandonie…;
- esplicitare il proprio punto di vista e le basi sulle quali è fondato: l’insegnante, il formatore neutro è una pia illusione, è molto più serio e pedagogicamente corretto che gli allievi conoscano il come ed il perché di un punto di vista e sappiano, se vogliono e credono, difendersene, criticarlo, “avversarlo”, dibatterci.
Agire sui sistemi, agire sulle persone
I dati ai quali ci riferiamo, per l’analisi, sono spesso di natura quantitativa. Quanti sono gli analfabeti? Quanti erano l’anno precedente? e dieci anni or sono? Se vi è stata una riduzione di questo numero ci consideriamo soddisfatti. Ma possiamo davvero porci come traguardo e misurazione di esso la stessa variabile che valeva cinquanta anni or sono?
Vi sono, tuttavia, alcune osservazioni e domande, molto semplici, da fare in relazione a questa modalità di avvicinarsi ai problemi dei sistemi formativi:
- l’analfabetismo o l’accesso soltanto parziale ai sistemi formativi è un problema strettamente relato con altre forme di esclusione;
- le esclusioni, di differenti tipologie, hanno meccanismi di retroazione circolare per i quali ogni esclusione rafforza le altre producendo, di conseguenza, un rafforzamento di se stessa (dell’esclusione originaria), la mancanza di istruzione e formazione (a livello di alfabetizzazione, ma anche, alle nostre latitudini, a livelli più alti) si innesta in questo meccanismo con un potente effetto moltiplicatorio, pur non essendo, spesso, la prima forma di esclusione ad agire sulla vita di un soggetto;
- la rimozione degli effetti (ovvero, ad esempio, la diminuzione del numero netto degli analfabeti) non rimuove le cause, né contribuisce alle loro individuazione, né impedisce l’ulteriore futura produzione dei medesimi effetti;
- i dati quantitativi sulle presenze nel sistema scolastico testimoniano soltanto di numeri, ovvero di presenze in contesto formativo, non dicono nulla della qualità dell’istruzione/educazione/formazione ricevuta, della strumentazione, degli arredi, della qualità didattica ed umana di formatori ed insegnanti;
- quali sono gli scopi dichiarati di un sistema educativo/formativo? Quale agire educativo viene messo in atto per raggiungere queste finalità? Chi controlla? Chi decide?
- come possono i bambini far valere questi loro diritti?
Rispondere a queste, e a molte altre, domande ed osservazioni significa iniziare, parallelamente certo all’azione, una riflessione seria e innovatrice sui sistemi di educazione e formazione. Intraprendere azioni a vasto raggio, anche conoscitive significa iniziare ad agire sui sistemi.
Agire sulle persone significa rinnovare, radicalmente, il processo di formazione degli insegnanti, non accettare più l’equivalenza tra conoscenza e processo educativo/formativo, verificare che i processi educativo/formativi non siano sottoposti a personalismi eccessivi, a poteri latenti, a forze poco facilmente controllabili. La supervisione dei processi, l’affiancamento degli insegnanti, la formazione continua, soprattutto relativamente allo specifico, alla crescita nei contenuti “trasversali” da parte degli insegnanti sono tematiche ricordate ampiamente in letteratura, ma che non hanno ancora visto una loro traduzione attiva alle nostre latitudini.
La conoscenza come valore
Abbiamo assistito ad una diminuzione del valore della “forza lavoro” (soppiantata sempre più dal concetto di “valore aggiunto”, tendenza riscontrabile anche nelle strategie di marketing), negli ultimi decenni, a seguito dell’utilizzo di tecnologie di produzione sempre più sofisticate, assistiamo adesso ad una mancanza di cittadinanza della stessa nel mondo del lavoro. La semplice alfabetizzazione ed istruzione di base (mentre è ancora un problema da risolvere per un sesto circa della popolazione mondiale) non è cioè più sufficiente a garantire la cittadinanza e la possibilità di esercizio lavorativo, quale che sia il livello del lavoro medesimo.
La conoscenza che acquista valore non può essere tradotto nella mercificazione della conoscenza. Ogni soggetto sperimenta il bisogno cogente, in una fluttuazione continua di possibilità, di occasioni, di messaggi, informazioni etc… (tema abbondantemente sviluppato da molteplici analisti), di avere capacità di autorientamento e di valutazione critica di quegli input, bisogno al quale può rispondere soltanto una formazione adeguata ed un patrimonio di conoscenze personali.
La conoscenza, in poche parole, aumenta il proprio valore d’uso che si va ad aggiungere e a moltiplicare con le risposte che è in grado di fornire ai bisogni personali dei soggetti ed all’implementazione delle loro capacità, competenze, abilità di analisi.
La conoscenza riafferma il proprio valore in sé, il proprio autentico valore non oggettuale e strumentale, questo il messaggio insito nella rivalutazione alla quale se ne assiste.
Un’educazione ed una formazione che non vogliano essere manipolazione debbono allora, principalmente, difendersi dalla mercantilizzazione, dalla strumentalizzazione, dal divenire un prodotto come gli altri.
Si fa sempre più urgente il bisogno che i sistemi di istruzione e formazione si garantiscano e si avviino ad essere democratici, accessibili, come garanzia minima, ma basilare, non per una reale democrazia delle possibilità quanto per un esercizio dei diritti minimi di cittadinanza, anzi per “esistere” come cittadini.
Il valore della conoscenza e di una conoscenza costruita a livelli superiori rispetto al semplice superamento dell’analfabetismo è ormai supportata anche da studi e da dimostrazioni della reale incidenza che determina: «C’e’ un crescente consenso globale sulla necessità che tutti i bambini possano portare a termine la scuola elementare, mentre si ignora il diritto all’educazione secondaria e universitaria, che corrono il rischio di essere trasformate totalmente in un servizio che si compra e vende a tariffa. Ma i nostri dati indicano che e’ proprio l’educazione secondaria, e non la primaria, la chiave per ridurre la povertà. La Commissione Economica ONU per l’America Latina e i Caraibi segnala che i giovani che portano a termine l’istruzione secondaria hanno una probabilità dell’ottanta per cento di sfuggire alla povertà, mentre nel novantasei per cento delle famiglie povere i genitori non hanno completato nove anni di scuola. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riaffermato recentemente il nucleo degli impegni governamentali in relazione alla scuola primaria (gratuita, obbligatoria e di qualità), ma li ha limitati ad un periodo di cinque anni. Ipotizzando che in media i bambini comincino la scuola a sei anni,, in questo modo completerebbero gli studi a undici anni, quando sono troppo giovani per lavorare e, a rigore, legalmente impossibilitati al lavoro. L’educazione funziona come un moltiplicatore. Negare il diritto all’educazione porta all’esclusione dal mercato del lavoro e all’adesione al settore informale (al lavoro nero).»
Da questo punto di vista occorre sottolineare l’ambivalenza dell’attuale congiuntura politica: da una parte troviamo l’educazione sotto tiro per le politiche di privatizzazione e per la mancanza di risorse e investimenti, dall’altra alcuni segnali di speranza da parte di governi, soprattutto locali che mostrano una rinnovata attenzione alle politiche educative, alla partecipazione che è necessaria in relazione ad esse.
Il Forum mondiale dell’Educazione ha conosciuto, in Italia, una risonanza non certo all’altezza delle sue proposte, si è svolto nell’ottobre 2001 (il primo) e nel gennaio 2003 (il secondo) a Porto Alegre, città dalla quale sembrano, come per una sorta di felice coincidenza, provenire alcune delle esperienze più interessanti di quest’ultimo ventennio.
Un evento di importanza mondiale che ha prodotto risultati formidabili, nonostante una sorta di sabotaggio mediatico, come precisava Eliezer Pacheco: «siamo andati al di là delle aspettative iniziali, un risultato tanto più importante se si tiene conto dell’assenza di sponsor e del silenzio dei media su questo evento». Già il primo Forum mondiale dell’Educazione, che si poneva in linea di raccordo con il Forum Sociale Mondiale, ha esteso però la partecipazione di tutti gli attori, cito ancora da Pacheco: «Il mondo dell’educazione ha favorito le sinergie fra organizzazioni non governative, enti locali e governo dello stato. […] L’idea centrale e’ quella di formare cittadini e non consumatori. Questa prospettiva ha bisogno del contributo di tutti gli attori»
Gli assi che guidano la riflessione del secondo Forum, dopo aver evidenziato analisi e denunce nel primo appuntamento, passano oggi a centrarsi sulla fase propositiva rubricando, all’interno di un quadro più generale come “Educazione e Trasformazione” i seguenti temi: le città educative, la costruzione sociale delle conoscenze e la costruzione di un progetto politico in grado di integrare ed accompagnare un progetto educativo capace di portare cambiamento.
Il punto fondamentale, in ogni caso, comune al primo ed al secondo Forum mondiale dell’Educazione è che non si può rinunciare ad un’educazione pubblica, non si può rinunciare ad un’educazione di qualità, gratuita, per tutti, significa che l’educazione-istruzione è un diritto irrinunciabile, l’unico che possa fare da tramite per l’acquisizione e la difesa, non paternalistica, di tutti gli altri diritti, contemporaneamente si ha una coscienza forte che l’esclusione generata dall’analfabetismo e da un livello di istruzione bassa non è causa di se stessa e che quindi occorre progettare percorsi coerenti e concreti per rimuovere le cause dell’esclusione e la produzione di nuove esclusioni.
In definitiva compito dell’educazione è quello di insegnare la possibilità ai giovani, di preparare al futuro, le parole, le storie, le narrazioni di un futuro migliore rivestono, in questo senso un’importanza fondamentale: «Se non vogliamo sopraffare gli alunni con i problemi del mondo dovremmo cercare di insegnare con spirito ottimista… integrare nei curricula storie positive riguardo alle tematiche ambientali e sociali e sviluppare la consapevolezza sulle fonti di speranza» (John Huckle).