Nebbia emozionale: alla semplice menzione di Gianni Rodari si è sempre innescato in me un misto indefinito di nostalgia e tenerezza, saudade mi sembra la parola giusta a rendere il mio stato d’animo.
L’albo La bambina di vetro di Beatrice Alemagna, autrice che seguo sempre con sentita partecipazione, è stato poi il lampo che ha fatto luce; “il treno ha fischiato” nel momento in cui ho letto la seguente nota introduttiva: “questa storia mi è stata ispirata da Giacomo di cristallo del geniale Gianni Rodari, testo che fin da bambina ho amato e sognato di illustrare. Si potrebbe dire che Gisèle, la protagonista di questo libro, sia la sorellina francese di Giacomo (…). A differenza del suo gemello italiano, Gisèle non viene messa in prigione, ma solo esclusa e costretta a cercare un luogo da poter chiamare ‘casa’”. Le parole di Alemagna hanno dato corpo a sensazioni fisiche ben precise: è emerso il ricordo tangibile, proprio nel senso etimologico di riportare al cuore, dell’odore della pagina di un quaderno di Italiano, siamo in terza elementare e sto disegnando Giacomo, questo bambino trasparente che mi ha letteralmente catturato.
Sono andata quindi a rileggere il racconto, e ho ritrovato uno dei miei valori guida, la potenza della verità: le corrispondenze, prima rarefatte, hanno trovato corpo.
Ancora prima di entrare dentro il libro di Alemagna, il libro era dunque già entrato dentro di me.
Le storie chiamano altre storie, come un sasso lanciato in uno stagno creano onde che si propagano e prima o poi ci intercettano. Più storie lanciamo, più studenti intercettiamo!
Gisèle è un inno all’accettazione di sé, alla valorizzazione delle nostre incrinature; allo stesso tempo la storia suona come un monito contro le etichettature, le ingiustizie e il peso del giudizio.
Si tratta di un poetico racconto di formazione, della fuga da sé per poi tornare alla propria interezza, dove la forza narrativa delle immagini dialoga in maniera davvero efficace con la suggestione delle parole.
La bambina di vetro potrebbe essere la “sesta malfatta”, per citare un altro prezioso albo dell’autrice (I cinque malfatti, Topipittori), che dovrebbe rientrare, anch’esso, nella proposta bibliografica di ogni scuola, affinché nessuno si senta mai escluso, affinché tutti possano sentirsi a casa quando si trovano in classe, affinché ognuno abbia il tempo di parlare e soprattutto abbia il diritto a non essere rassicurato in modo grossolano dall’esterno, ma bensì accompagnato nella ricerca, dentro di sé, delle proprie risorse (“Alla minima paura, al minimo dubbio, tutti la rassicuravano, senza nemmeno lasciarle il tempo di parlare”)!
Recensione a cura di Elisa Amadori